[Masci] Il papa alla Sapienza 2
Giovanni Caluri
giovanni.caluri a alice.it
Sab 19 Gen 2008 22:31:32 CET
SEMPRE PIÙ CHIARO CHE LAICITÀ NON VUOL DIRE MODERNITÀ
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Labilità di sparute minoranze Egemonizzare i ceti intellettuali
LUCA DIOTALLEVI
Minimizzare la crisi della nostra comunità nazionale non è più un
fatto di prudenza, ora è divenuta unimprudenza.
Da Napoli a Roma, non ce la facciamo più a mantenere lo spazio
pubblico sgombero da immondizia e ideologia.
La situazione è tanto grave da far sì che la sanzione pubblica
delle responsabilità politiche individuali, pur necessaria,
non sia neppure la cosa più urgente.
Ci sono piuttosto alcune cose che dobbiamo dirci alla svelta.
Tra queste cè che laïcité e modernità non coincidono.
La modernità è istanza di differenziazione, è istanza di
relazione e di responsabilità fondate sulla distinzione tra
diversi ambiti e codici sociali:
ma la laïcité è una pessima risposta a questa istanza.
La laïcité non è distinzione né relazione, ma pretesa da parte
della politica di egemonizzare lo spazio pubblico, perseguendo
il progetto di una sovranità assoluta per cui 'pubblico' si riduce
a 'statale'.
Una sovranità che si esprime innanzitutto su ogni forma di legge
e di diritto, tutto riducendo alla legge dello stato.
La laïcité non è distinzione né relazione, perché prima ancora
che pretesa di negare dignità pubblica al fenomeno religioso, è
pretesa di asservirlo ai propri scopi.
Non si dimentichi che radici importanti della laïcité sono
nelleresia 'gallicana' e nelle politiche giacobine di
sottomissione del clero al servizio dello stato.
La laïcité è il culto fondamentalista di una ragione assoluta
che vuole giungere ad imporre persino credenze e riti propri, è
quella 'seculocracy' ostile al cristianesimo, al sapere critico
ed alla democrazia liberale.
La laïcité non è distinzione né relazione, perché è negazione
del passato e delle radici storiche: utopia pericolosa
dellautofondamento.
Insomma, la laïcité non è modernità, perché la modernità non
è solo né innanzitutto giacobinismo.
La modernità è anche quella, teoreticamente meno incoerente
e ormai quantitativamente prevalente, della religious freedom, è
quella che vive nei regimi di libertà religiosa (come quelli
anglosassoni, certo, ma anche in contesti come quello italiano in
cui la costituzione sancisce la pluralità degli ordinamenti).
È la libertà delle società in cui 'pubblico' non è sinonimo
di 'statale', dove lo spazio pubblico è variegato perché pubbliche
sono politica e scienza, religione, economia e famiglia; società
in cui il reciproco limitarsi delle istituzioni nega ogni
monopolio e desacralizza ogni potere.
Quella della libertà religiosa è la libertà di società in cui
la legge ed il diritto non sono solo quelli dello stato, ma
innanzitutto quelli delle persone (common law).
In questi regimi, istituzioni religiose e politiche non si
minacciano assoggettamenti né si risparmiano critiche.
Mentre per la laïcité il 'muro di separazione' tra religione
e politica coincide con quello tra privato e pubblico, nei
regimi di libertà religiosa quel muro corre attraverso lo spazio
pubblico, come il muro che separa politica da economia.
Nella coscienza di queste società non è negata la memoria.
La coscienza storica ricorda invece che le radici permanenti
delle società aperte stanno anche nelle tradizioni
ebraico-cristiane.
La Chiesa cattolica, dal canto suo, ha dato voce col Concilio
a questa responsabilità per la libertà religiosa, sancendo
nella Dignitatis Humanae i principi insieme cristiani e moderni
del 'non obbligare, non impedire' e della distinzione tra diritto
e morale.
Non smettiamo di parlarci perché la gravità del momento non
risiede nel fatto che la opinione pubblica italiana abbia dubbi
sul valore della religione, anche pubblico.
Il pericolo sta nella capacità mostrata da sparute minoranze
di egemonizzare i ceti intellettuali.
Sarà un caso, ma ancora una volta la sconfitta della libertà
accompagna la sconfitta della maggioranza.
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.......GioVanni- Caluri
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