[Masci] Chi lo ha conosciuto
Alberto Albertini
vonalbert a tin.it
Ven 4 Gen 2008 19:47:43 CET
ero e forse è meglio dire sono legato da profonda stima a questo
Signore padre di amici tutti stati scout che è tornato a Gerusalemme,
negli anni scorsi avrei voluto portarlo al MASCI perchè ci parlasse
dell'avventura vissuta dopo la guerra ma ormai era troppo
stanco...... qui nel Osservatore Romano di oggi c'è un bel articolo
che vi propongo...... con grande affetto Albert
Un ricordo di Giuseppe Criconia
Alle origini
della
Comunità del Porcellino
Raffaele Alessandrini
Il nome della Comunità del Porcellino, oltre a far sorridere,
dirà poco o nulla al lettore. Viene a rammentarlo la figura di
Giuseppe Criconia, morto il 1° gennaio a Roma, i cui funerali si sono
celebrati giovedì mattina nella parrocchia di Santa Paola. Con lui
muore uno degli ultimi esponenti di quel singolare "sodalizio di
convivenza" - sorto per necessità puramente logistiche presso la
storica parrocchia romana di Santa Maria in Vallicella: la Chiesa
Nuova - che, nel clima della Costituente, vide riuniti a Roma
personaggi come Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, Giuseppe Dossetti,
Amintore Fanfani, Laura Bianchini, Angela Gotelli. Un sodalizio
davvero curioso che Criconia, pur essendo il meno conosciuto - come
egli stesso teneva a ricordare qualche anno fa - aveva contribuito in
modo determinante, benché casuale, a riunire.
Egli stesso, del resto, è stato a tutti gli effetti un modello
esemplare di quel laicato cattolico che, tra la fine della seconda
guerra mondiale e gli anni della ricostruzione, tanto ha dato al
proprio paese in fatto di onestà, di discrezione, di nettezza morale,
di disinteressato servizio: fatto di mezzi poveri; di umiltà; di
rigore; di competenza professionale. Per anni Criconia operò
nell'Azione Cattolica anche come presidente del gruppo romano dei
laureati. E anche più tardi, negli anni successivi alla pensione, si
sarebbe dedicato attivamente al volontariato accanto agli ammalati -
in modo specifico agli infermi di mente - agli albori della Caritas
romana, a fianco di don Luigi Di Liegro.
La sua vicenda umana e cristiana lo avrebbe messo a contatto, e
in amicizia, con personaggi di primo piano nella storia della
repubblica italiana e del movimento cattolico, ma non di minore
entità fu la sua personale testimonianza operosa di laico, di padre
di famiglia, di professionista. Una testimonianza vissuta
silenziosamente "dietro le quinte", pur con tutti i suoi risvolti
particolari.
Nato a Piazzola sul Brenta (Padova) nel 1916, Giuseppe Criconia
aveva studiato a Venezia e presso l'Università di Ca' Foscari
conseguì la laurea in Scienze Economiche sotto la guida di Ezio
Vanoni. Il maestro, colpito dalla serietà dell'allievo, ne favorì
l'assunzione all'Iri di Roma nel novembre del 1939. Come ricorda lo
stesso Criconia in una memoria di qualche anno fa, la sua vita
professionale si sarebbe svolta interamente nella capitale, salvo il
triennio 1943-1946 quando l'Iri, dopo l'8 settembre, fu trasferito a
Milano. Qui, nel capoluogo lombardo, il giovane veneto ebbe contatti
nella clandestinità con i dirigenti della democrazia cristiana per
l'alta Italia e partecipò attivamente alla Resistenza. Fu ospite del
centro di assistenza sociale "La casa" organizzato dal sacerdote di
Augusta (Siracusa) don Paolo Liggeri (1911-1996). Iniziativa sorta
per aiutare quanti avessero avuta distrutta la loro abitazione dalla
guerra, "La casa" in realtà offriva ospitalità anche a perseguitati
politici e razziali e, in collegamento con la Radio Vaticana,
registrava e inoltrava messaggi ai familiari dei militari prigionieri
o dispersi. Secondo fonti dell'Anpi si calcola che da "La casa" siano
stati trasmessi - antenna della trasmittente clandestina era un filo
pendente da un parafulmine - oltre 172.000 messaggi. Anche Criconia
fu sorpreso dall'irruzione che i nazifascisti operarono il 24 marzo
1944 nello stabile di via Mercalli. Quel giorno don Liggeri fu
arrestato e in seguito deportato in Germania - sarebbe stato
ritrovato e liberato dagli americani il 29 aprile 1945 dal lager di
Dachau. Criconia invece scampò miracolosamente all'arresto per una
circostanza singolare. Aveva diversi fogli di stampa clandestina
nella scrivania e, ormai rassegnato al peggio, rimase muto e
sbalordito che, all'atto della perquisizione, il suo cassetto fosse
stato aperto e, quasi subito, bruscamente richiuso; senza
conseguenze. Rientrato in stanza a pericolo passato, Criconia riaprì
il cassetto e si accorse che la sua penna stilografica d'oro era
sparita. Respirò. Non tutto il male viene per nuocere. Se l'occasione
talvolta fa l'uomo ladro, l'avidità lo rende sempre cieco.
Fu dunque a Milano che Criconia conobbe l'impetuosa bresciana
Laura Bianchini (1903-1983), docente di filosofia e pubblicista,
partigiana e deputata - alla I legislatura e in seguito insegnante di
storia e filosofia al liceo "Virgilio" di Roma dal 1953 al 1973. Allo
stesso periodo risale l'incontro con i cosiddetti "professorini"
dell'Università Cattolica del Sacro Cuore: Fanfani, Dossetti,
Lazzati. Quando questi amici si trasferirono a Roma, riuniti da
Dossetti - che nel luglio 1946, essendo stato eletto vicepresidente
della democrazia cristiana, aveva chiesto aiuto per l'impostazione e
la realizzazione dei suoi nuovi impegni - per tutti ci furono
notevoli difficoltà di natura logistica. Dispersi in punti diversi
della città, c'era bisogno di incontrarsi per discutere - il che per
forza di cose doveva avvenire, spesso, di sera - e per spostarsi da
un luogo all'altro si dovevano superare non pochi disagi. A volte
talune case di amici comuni, più facilmente raggiungibili da tutti,
dovettero essere elette a punto di ritrovo: è ad esempio il caso
dell'abitazione dell'economista Serafino Majerotto (1908-1995),
trentino di Caldonazzo, anch'egli laureato alla "Cattolica" e
impiegato in Vaticano all'ufficio studi dell'amministrazione speciale
della Santa Sede. Majerotto abitò per alcuni anni a via Morin, una
traversa di via della Giuliana, ad un passo da San Pietro, e la sua
abitazione fu per diverso tempo punto d'incontro e di discussioni dei
"professorini" e dei loro amici.
Un giorno Criconia, essendo andato a trovare la Bianchini nella
sua abitazione di via della Chiesa Nuova, 14, ove l'insegnante
bresciana era ospite con Angela Gotelli, presso le sorelle Pia e
Laura Portoghesi, grazie alla mediazione determinante del parroco
della Chiesa Nuova, l'oratoriano padre Paolo Caresana, venne a sapere
che i proprietari del II piano del palazzo si sarebbero trasferiti.
Era perciò possibile prenderlo in affitto. Criconia prese rapidamente
contatto col proprietario. Un detto e un fatto. Regolate le formalità
cinque nuovi inquilini si stabilirono nell'appartamento: erano
Fanfani, Dossetti, Lazzati, Giuseppe Glisenti e Criconia.
Racconta uno dei nipoti delle sorelle Portoghesi, Telemaco Tuzi,
che Criconia, in procinto di sposarsi, chiese e ottenne che gli fosse
lasciata la stanza più grande dove voleva sistemarsi con la moglie in
attesa di una soluzione definitiva; quella stessa stanza, prima del
matrimonio di Criconia, di comune accordo fu utilizzata da Fanfani
allorché questi, nominato ministro del Lavoro, si trasferì a Roma con
la famiglia. Intanto su insistenza della Bianchini, una delle padrone
di casa Laura Portoghesi, la quale aveva già trovato una persona che
si occupasse delle pulizie dell'appartamento del II piano, decise di
provvedere alla preparazione dei pasti e da allora tutti mangiarono
insieme.
La comunità cresceva. Si aggregò La Pira che per un certo tempo
aveva abitato con Dossetti in via Bonifacio VIII - oggi via Alcide De
Gasperi - nello stesso palazzo dove abitava lo statista trentino;
vennero via via altri giovani. Il nome della Comunità del Porcellino,
racconta Tuzi, nacque dall'intercalare che Laura Bianchini - in casa
detta Laurona per distinguerla da Laurina Portoghesi, molto più
piccola e minuta - era solita utilizzare. "Laurona, carattere forte
da "vecchio alpino", come a lei piaceva definirsi, quando perdeva la
pazienza etichettava gli interlocutori, e specialmente i commensali,
con l'epiteto: "Tu sei un porco"".
L'11 giugno del 1947 alle ore 21, nel salotto bello della casa
fu convocata la comunità e nello spirito fucino - sanamente
goliardico - che li distingueva, fu redatto un atto ufficiale di
costituzione con il padre Caresana in qualità di notaio. Autori
principali del testo furono un altro oratoriano: padre Guido Adolfo
Martinelli - anch'egli bresciano - e la professoressa Bruna Carazzolo
di Padova, a Roma in quanto vicepresidente dei laureati cattolici, e
ospite fissa alla tavola della "Comunità".
"Il primo emblema della Comunità fu un porcellino di vetro
appeso, con nastro tricolore, al lampadario della sala da pranzo.
Dono di Vittorino Veronese. Fu seguito da un tagliere di legno a
forma di porco che fu suddiviso in diverse parti assegnandone una a
ciascuno dei soci: lardo di Beppe (Lazzati), spalla di Criconia,
pancetta di Piccioni, prosciutto in miniatura di Laura (Bianchini),
zampino di Fanfani, zampone di Pippo (Dossetti), gota di Angela
(Gotelli), cuore di Giorgio (La Pira), grugno di Calosso, orecchie di
Portoghesi.
"Sul retro fu scritto: Lazzati, Dossetti, Gotelli e Bianchini
furono a Roma da porcellini, a eterna memoria di loro pose il
Ministro del Lavoro. 1947".
Inutile dire che la routine dei pranzi e delle cene fu
movimentatissima e che spesso si distingueva per ospiti molto
particolari. Da De Gasperi a Scelba, da Maritain a padre Gemelli.
Era consuetudine, non sempre rispettata - osserva con rammarico
Tuzi - riportare su un diario avvenimenti e citazioni. Una di queste,
egli dice, resta chiara nella memoria: sono gli auguri di padre
Caresana alla "Comunità" per l'Epifania del 1949. Il parroco della
Chiesa Nuova, originario di Brescia, amico carissimo e confessore di
monsignor Giovanni Battista Montini, così scriveva: "Ai parrocchiani
di via della Chiesa Nuova 14, ultimo piano! Conforto e attesa del
Padre curato e... della patria".
Padre Caresana rimase sempre legato a tutti i membri della
"Comunità". E quando Dossetti decise di farsi sacerdote e scese dal
religioso oratoriano per comunicarglielo e per chiedere consiglio
egli lo portò dinanzi all'altare dove riposa san Filippo Neri e -
come ricorda padre Peppino Ferrari, che era presente - fattolo
inginocchiare gli disse di affidarsi al santo romano.
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Alberto Albertini
vonalbert a tin.it
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