[Masci] A proposito di pedofilia

Giovanni Caluri giovanni.caluri39 a gmail.com
Dom 21 Mar 2010 15:45:34 CET


Visto che vanno di moda gli attacchi al papa
e alla Chiesa, credo sia utile riflettere
aiutati da questo articolo di Massimo Introvigne,


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Avvenire - Cultura   18 Marzo 2010
IL CASO
Cosa c'è dietro gli scandali?
Si ritorna a parlare di preti pedofili, con voci e
accuse che si riferiscono insistentemente alla
Germania e tentativi di coinvolgimento di persone
vicine al Papa, e credo che anche la sociologia
abbia molto da dire e che non debba tacere per il
timore di scontentare qualcuno.
La discussione attuale sui preti pedofili –
considerata dal punto di vista del sociologo –
rappresenta un esempio tipico di «panico morale».
Il concetto è nato negli anni 1970 per spiegare
come alcuni problemi siano oggetto di una
«ipercostruzione sociale».

Più precisamente, i «panici morali» sono stati
definiti come problemi socialmente costruiti,
e caratterizzati da una amplificazione sistematica
dei dati reali, sia nella rappresentazione
mediatica sia nella discussione politica.
Altre due caratteristiche sono state citate come
tipiche dei «panici morali».
In primo luogo, problemi sociali che esistono da
decenni sono ricostruiti nelle narrative mediatiche
e politiche come «nuovi», o come oggetto di una
presunta e drammatica crescita recente.
In secondo luogo, la loro incidenza è esagerata
da statistiche folkloriche che, benché non confermate
da studi accademici, sono ripetute da un mezzo di
comunicazione all’altro e possono ispirare
campagne mediatiche persistenti.

Philip Jenkins ha sottolineato il ruolo nella creazione e gestione dei
panici di «imprenditori morali» le cui agende non sono sempre dichiarate. I
«panici morali» non fanno bene a nessuno. Distorcono la percezione dei
problemi e compromettono l’efficacia delle misure che dovrebbero risolverli.
A una cattiva analisi non può che seguire un cattivo intervento.
Intendiamoci: i «panici morali» hanno ai loro inizi condizioni obiettive e
pericoli reali. Non inventano l’esistenza di un problema, ma ne esagerano le
dimensioni statistiche. In una serie di pregevoli studi lo stesso Jenkins ha
mostrato come la questione dei preti pedofili sia forse l’esempio più tipico
di un «panico morale». Sono presenti infatti i due elementi caratteristici:
un dato reale di partenza, e un’esagerazione di questo dato ad opera di
ambigui «imprenditori morali».

Anzitutto, il dato reale di partenza. Esistono preti pedofili. Alcuni casi
sono insieme sconvolgenti e disgustosi, hanno portato a condanne definitive
e gli stessi accusati non si sono mai proclamati innocenti. Questi casi –
negli Stati Uniti, in Irlanda, in Australia – spiegano le severe parole del
Papa e la sua richiesta di perdono alle vittime. Anche se i casi fossero
solo due – e purtroppo sono di più – sarebbero sempre due casi di troppo.
Dal momento però che chiedere perdono – per quanto sia nobile e opportuno –
non basta, ma occorre evitare che i casi si ripetano, non è indifferente
sapere se i casi sono due, duecento o ventimila. E non è neppure irrilevante
sapere se il numero di casi è più o meno numeroso tra i sacerdoti e i
religiosi cattolici di quanto sia in altre categorie di persone. I sociologi
sono spesso accusati di lavorare sui freddi numeri dimenticando che dietro
ogni numero c’è un caso umano.

Ma i numeri, per quanto non siano sufficienti, sono necessari. Sono il
presupposto di ogni analisi adeguata. Per capire come da un dato
tragicamente reale si sia passati a un «panico morale» è allora necessario
chiedersi quanti siano i preti pedofili. I dati più completi sono stati
raccolti negli Stati Uniti, dove nel 2004 la Conferenza episcopale ha
commissionato uno studio indipendente al John Jay College of Criminal
Justice della City University of New York, che non è un’università cattolica
ed è unanimemente riconosciuta come la più autorevole istituzione accademica
degli Stati Uniti in materia di criminologia.

Questo studio ci dice che, dal 1950 al 2002, 4392 sacerdoti americani (su
oltre 109.000) sono stati accusati di relazioni sessuali con minorenni. Di
questi poco più di un centinaio sono stati condannati da tribunali civili.
Il basso numero di condanne da parte dello Stato deriva da diversi fattori.
In alcuni casi le vere o presunte vittime hanno denunciato sacerdoti già
defunti, o erano scattati i termini della prescrizione. In altri, all’accusa
e anche alla condanna canonica non corrisponde la violazione di alcuna legge
civile: è il caso, per esempio, in diversi Stati americani del sacerdote che
abbia una relazione con una – o anche un – minorenne oltre i 16 anni e
consenziente.

Ma ci sono anche stati molti casi clamorosi di sacerdoti innocenti accusati.
Questi casi si sono anzi moltiplicati negli anni 1990, quando alcuni studi
legali hanno capito di poter strappare transazioni milionarie anche sulla
base di semplici sospetti. Gli appelli alla «tolleranza zero» sono
giustificati, ma non ci dovrebbe essere nessuna tolleranza neanche per chi
calunnia sacerdoti innocenti. Aggiungo che per gli Stati Uniti le cifre non
cambierebbero in modo significativo se si aggiungesse il periodo 2002-2010,
perché già lo studio del John Jay College notava il «declino notevolissimo»
dei casi negli anni 2000.

Le nuove inchieste sono state poche, e le condanne pochissime, a causa di
misure rigorose introdotte sia dai vescovi statunitensi sia dalla Santa
Sede. Lo studio del John Jay College dice forse, come si legge spesso, che
il 4% dei sacerdoti americani sono «pedofili»? Niente affatto. Secondo
quella ricerca il 78,2% delle accuse si riferisce a minorenni che hanno
superato la pubertà. Avere rapporti sessuali con una diciassettenne non è
certamente una bella cosa, tanto meno per un prete: ma non si tratta di
pedofilia. Dunque i sacerdoti accusati di effettiva pedofilia negli Stati
Uniti sono 958 in 42 anni, 18 all’anno.

Le condanne sono state 54, poco più di una all’anno. Il numero di condanne
penali di sacerdoti e religiosi in altri Paesi è simile a quello degli Stati
Uniti, anche se per nessun Paese si dispone di uno studio completo come
quello del John Jay College. Si citano spesso una serie di rapporti
governativi in Irlanda che definiscono «endemica» la presenza di abusi nei
collegi e negli orfanotrofi (maschili) gestiti da alcune diocesi e ordini
religiosi, e non vi è dubbio che casi di abusi sessuali su minori anche
molto gravi in questo Paese vi siano stati. Lo spoglio sistematico di questi
rapporti mostra peraltro come molte accuse riguardino l’uso di mezzi di
correzione eccessivi o violenti. Il cosiddetto Rapporto Ryan del 2009 – che
usa un linguaggio molto duro nei confronti della Chiesa cattolica – su
25.000 allievi di collegi, riformatori e orfanotrofi nel periodo che esamina
riporta 253 accuse di abusi sessuali da parte di ragazzi e 128 da parte di
ragazze, non tutte attribuite a sacerdoti, religiosi o religiose, di diversa
natura e gravità, raramente riferite a bambini prepuberi e che ancor più
raramente hanno condotto a condanne.

Le polemiche di queste ultime settimane riguardanti situazioni sorte in
Germania e Austria mostrano una caratteristica tipica dei «panici morali»:
si presentano come «nuovi» fatti risalenti a molti anni or sono, in alcuni
casi addirittura a oltre trent’anni fa, e in parte già noti. Il fatto che –
con una particolare insistenza su quanto tocca l’area geografica bavarese,
da cui proviene il Papa – siano presentati sulle prime pagine dei giornali
avvenimenti degli anni 1980 come se fossero avvenuti ieri, e ne nascano
capziose polemiche, nella forma di un attacco concentrico che ogni giorno
annuncia in stile urlato nuove «scoperte», mostra bene come il «panico
morale» sia promosso da «imprenditori morali» in modo organizzato e
sistematico.

Il caso che – come alcuni giornali hanno titolato – «coinvolge il Papa» è a
suo modo da manuale. Si riferisce a un episodio in cui un sacerdote di
Essen, già colpevole di abusi, fu accolto nell’arcidiocesi di Monaco e
Frisinga, di cui era arcivescovo l’attuale Pontefice, risale infatti al
1980. Il caso è emerso nel 1985 ed è stato giudicato da un tribunale tedesco
nel 1986, accertando tra l’altro che la decisione di accogliere
nell’arcidiocesi il sacerdote in questione non era stata presa dal cardinale
Ratzinger e non gli era neppure nota, il che non è strano in una grande
diocesi con una complessa burocrazia.

Perché oggi un quotidiano tedesco decida di riesumare il caso, e sbatterlo
in prima pagina 24 anni dopo la sentenza, dovrebbe essere messo in
questione. Una domanda sgradevole – perché il semplice porla sembra
difensivo, e non consola le vittime – ma importante è se essere un prete
cattolico sia una condizione che comporta un rischio di diventare pedofilo o
di abusare sessualmente di minori – le due cose, come si è visto, non
coincidono perché chi abusa di una sedicenne non è un pedofilo – più elevato
rispetto al resto della popolazione.

Rispondere a questa domanda è fondamentale per scoprire le cause del
fenomeno e quindi per prevenirlo. Secondo gli studi di Jenkins, se si
paragona la Chiesa cattolica degli Stati Uniti alle principali denominazioni
protestanti si scopre che la presenza di pedofili è – a seconda delle
denominazioni – da due a 10 volte più alta tra i pastori protestanti
rispetto ai preti cattolici. La questione è rilevante perché mostra che il
problema non è il celibato: la maggior parte dei pastori protestanti è
sposata. Nello stesso periodo in cui un centinaio di sacerdoti americani era
condannato per abusi sessuali su minori, il numero di professori di
ginnastica e allenatori di squadre sportive giovanili – anche questi in
grande maggioranza sposati – giudicato colpevole dello stesso reato dai
tribunali statunitensi sfiorava i seimila.

Gli esempi potrebbero continuare, e non solo negli Stati Uniti. Soprattutto,
stando ai periodici rapporti del governo americano, due terzi circa delle
molestie sessuali su minori non vengono da estranei o da educatori – preti e
pastori protestanti compresi – ma da familiari: patrigni, zii, cugini,
fratelli e purtroppo anche genitori. Dati simili esistono per numerosi altri
Paesi. Per quanto sia poco politicamente corretto dirlo, c’è un dato che è
assai più significativo: per oltre l’80% i pedofili sono omosessuali, maschi
che abusano di altri maschi. E – per citare ancora una volta Jenkins – oltre
il 90% dei sacerdoti cattolici condannati per abusi sessuali su minori e
pedofilia è omosessuale. Se nella Chiesa cattolica può esserci stato
effettivamente un problema, questo non riguarda il celibato ma una certa
tolleranza dell’omosessualità, in particolare nei seminari negli anni
Settanta, quando veniva ordinata la grande maggioranza di sacerdoti poi
condannati per gli abusi. È un problema che Benedetto XVI sta vigorosamente
correggendo.

Più in generale il ritorno alla morale, alla disciplina ascetica, alla
meditazione sulla vera, grande natura del sacerdozio sono l’antidoto ultimo
alle tragedie vere della pedofilia. Anche a questo deve servire l’Anno
sacerdotale. Rispetto al 2006 – quando la Bbc mandò in  onda il
documentario-spazzatura del parlamentare irlandese e attivista omosessuale
Colm O’Gorman – e al 2007 – quando Santoro ne propose la versione italiana
su Annozero – non c’è, in realtà, molto di nuovo, fatta salva l’accresciuta
severità e vigilanza della Chiesa.

I casi dolorosi di cui più si parla in queste settimane non sono sempre
inventati, ma risalgono appunto a venti o anche a trent’anni fa. O, forse,
qualche cosa di nuovo c’è. Perché riesumare nel 2010 casi vecchi o molto
spesso già noti, al ritmo di uno al giorno, attaccando sempre più
direttamente il Papa – un attacco, per di più, paradossale se si considera
la grandissima severità del cardinale Ratzinger prima e di Benedetto XVI poi
su questo tema? Gli «imprenditori morali» che organizzano il panico hanno
un’agenda che emerge sempre più chiaramente, e che non ha veramente al suo
centro la protezione dei bambini. La lettura di certi articoli ci mostra
come lobby molto potenti cercano di squalificare preventivamente la voce
della Chiesa con l’accusa più infamante e oggi purtroppo anche più facile,
quella di favorire o tollerare la pedofilia.
Massimo Introvigne

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