[Masci] lettera ad Avvenire

Giovanni Caluri giovanni.caluri39 a gmail.com
Mar 29 Maggio 2012 19:23:58 CEST


Visto che il consiglio tutto è stato informato
che un vecchio rompino ha espresso delle
perplessità al direttore di Avvenire,
firmandosi "un vecchio del TO XXIV di Luciano
Ferraris", e che lui, il direttore ha risposto,
cercando di chiarire i miei dubbi, vi giro
il tutto.
Perchè non ho firmato come censito nel MASCI?
Si accettano idee in proposito, a chi indovina
verrà consegnato un biglietto per partecipare
all'estrazione di una radice quadrata di -2

qui il tutto rispetto al testo originale
c'è un "a prescindere"

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        .---.
       (..¦..)
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(-.-<_..\.¦./.._>-_-)
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.......GioVanni- Caluri

Giovanni.Caluri a alice.it
(Lupo Volante)
ScoutTag Regina Margherita (TO) (MASCI) A.S.
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Avvenire, dom 27/05/2012  FORUM (l'ultima pagina)
Due perplessità, una buona strada Il direttore risponde


Caro direttore, perdonami, ma le perplessità cominciano a essere troppe. La
prima riguarda una (ex) signora ministro che pare ami le sorti dei cani e dei
gatti e ne intenda fare una battaglia parlamentare. Mi colpisce la passione e il
contemporaneo assoluto disinteresse al destino di esseri umani incapaci di
difendersi dalla volontà della donna che li porta in grembo, che di loro vuole
sbarazzarsi. Un’altra perplessità che mi rode come un tarlo da quando in giro ci
sono valanghe di disoccupati, cassintegrati, posti di lavoro scoperti che
nessuno vuole coprire, è il grido a prescindere «benvenuti siano gli immigrati»
(ancorché clandestini) perché abbiamo bisogno delle loro braccia. Ho iniziato a
lavorare più o meno quando tu sei nato, alla metà degli anni 50, avevo quindici
anni, reduce da una feroce 'trombatura' sui banchi del liceo. Nelle 'boite' (le
piccole officine) di Torino c’era sempre posto per un apprendista che avesse
voglia di imparare un lavoro. L’orario era di 48 ore la settimana, due settimane
di ferie all’anno (e gli apprendisti avevano il permesso di uscire mezz’ora
prima se erano iscritti a una scuola serale: è così che mi sono diplomato alle
superiori).

Nel tempo, in vent’anni di conquiste sindacali, tra la fine degli anni 60 e i
primi 70, si è passati a 40 ore settimanali e un mese di ferie. In questi ultimi
40 anni invece più nessuna modifica. Ma non esiste più il 'baracchino Fiat' che
avvita lo stesso bullone 8 ore al giorno, alienato da quel lavoro. Oggi un bel
robottino avvita 8 bulloni e con torsione controllata da un dinamometro, tutti
in un colpo. A detta degli esperti, la produttività del lavoratore
(indifferentemente operaio o impiegato) è stata moltiplicata per dieci grazie
all’informatica e all’automazione.

Ora, non pretendo che quel 'fattore 10' sia gratuito. Certo, il robot costa (di
contro non sciopera), lo studio per produrlo costa, la sua gestione costa. Non
pretendo quindi di affermare che gli utili netti dei 'padroni' siano
automaticamente moltiplicati per dieci. Ma se per produrre la quantità di
vetture degli anni 1965-70 la Fiat aveva un organico di quasi mezzo milione di
dipendenti e ora riesce a produrre le stesse quantità con una frazione di quel
numero, che cosa facciamo fare al resto degli (ex) dipendenti? Non basta citare
«le nuove professioni», non ce n’è per tutti, e soprattutto occorrono 'skill'
(abilità acquisite) che molti non possono avere, a causa dell’età o della storia
culturale di ciascuno, altrimenti non avremmo cassintegrati a ogni angolo di
strada. Ecco, perdona la lunghezza della descrizione che ho fatto, la domanda
che mi pongo, il tarlo che mi rode, ciò che non capisco: possibile che gli utili
netti di tutte le aziende che hanno ridotto così drasticamente il personale non
siano saliti?
Possibile che non si possa passare a una diversa organizzazione del lavoro,
grazie alla quale sia possibile 'lavorare meno, lavorare tutti', ma ovviamente
lasciando i redditi dei lavoratori a un livello dignitoso. Caro fratello scout
(eh, l’hai scritto e me lo sono segnato...) fai cosa vuoi di queste due domande,
ma se puoi o hai tempo, rispondimi, perché mi sento proprio stranito da questo
mondo e questo modo di ragionare. Grazie, e Buona Strada!
Giovanni Caluri, un vecchio scout del To XXIV di Luciano Ferraris
--------****
Non sono uno specialista in tarli, caro Giovanni, mentre anch’io ho imparato
qualcosa di fraternità e di giustizia.
E ho pure appreso che un approccio 'pragmatico' alla novità tecnologica non
comprende necessariamente una resa al disumano.
L’ho imparato e continuo ancora, da cattolico e da scout.
Proprio come te: strada facendo, spesso controcorrente e anche contromano, ma
cercando di tenere sempre gli occhi bene aperti.
È una buona lezione, basata su valori saldi (che mi scomodano e mi mettono alla
prova e persino in crisi) e su un sano dubbio (che è amore consapevole per
l’umanità e perplessità affilata sul mondo e le sue logiche).
Una lezione che mi è servita e che mi serve anche nel mestiere di cronista. Nel
quale ho capito che tutte le domande profonde e autentiche sono un inizio di
risposta.
Capisco bene quella più sintetica e che mi fai per prima.
E ti dico che anch’io – pur amando francescanamente gli animali e pensando che
ogni sano amore nulla toglie e tanto aggiunge alla nostra vita – ritengo che sia
ben strano e triste un tempo in cui si mettono in campo energie e stentorei
amplificatori a tutela di cuccioli d’animale e ritrosie o censure inconcepibili
quando c’è da salvare un bambino ancora non nato.
La tua seconda domanda sul lavoro – che trovo in bella assonanza con un
passaggio centrale della riflessione con la quale il cardinale Bagnasco ha
aperto i lavori dell’ultima Assemblea della Cei: consiglio di rileggerla –
argomenta così tanto e così tanto ricorda che faccio fatica ad aggiungere
qualcosa.
A parte una correzione che propongo a te e che – l’ho già scritto più volte –
vorrei fare a un modo di dire diffuso, ma che trovo profondamente ingiusto: non
esistono «clandestini» sulla faccia della terra, nessun uomo e nessuna donna lo
è mai. Le persone possono essere fuori da determinate regole, e dunque
«irregolari», ma «clandestine» no.
Qualcuno pensa che sia solo un modo di pensare buonista, e invece è molto di più
perché è impastato della sostanza stessa dell’idea cristiana di fraternità.
Proprio quella che genera e motiva la tua analisi e il tuo appello sul lavoro e
per il lavoro, guardando prima di tutto alle persone. È vero: non tutti i lavori
sono uguali, e non tutti nel lavoro sono ugualmente dediti e onesti. Ma gli
uomini e le donne sì.
Loro sono uguali, e a nessuno per smania di profitto e senza giustizia può
essere negata la possibilità di realizzarsi attraverso l’«opera delle mani e
dell’intelletto». E qui mi viene un modello (certo perfettibile) da indicare.
Ultimamente si cita – comprensibilmente – la Germania solo per l’ossessione
rigorista che ha imposto all’Europa. Beh, vorrei che si tornasse a parlarne di
più per il sistema partecipativo, e largamente inclusivo, che ha messo a punto e
applicato nel mondo dell’impresa e del lavoro. È una buona strada, e può essere
non solo 'copiata', ma sviluppata fino a diventare ottima. Perché si basa sul
principio che nel cammino e nell’impegno comune tutti – imprenditori, lavoratori
e anche finanziatori – condividono secondo eque gradazioni responsabilità,
fatiche, problemi e successi. Anche in economia, lo stiamo sperimentando, non
c’è libertà particolare senza responsabilità e senza senso della comunità.
Grazie a te, caro Giovanni, per le tue vigorose perplessità e per l’amicizia ad
Avvenire e a me.
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