[Masci] lettera ad Avvenire

Alberto Albertini rivieramagellano a gmail.com
Mar 29 Maggio 2012 20:21:01 CEST


sei stato bravissimo… albert
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Alberto Albertini
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Il giorno 29/mag/2012, alle ore 19:23, Giovanni Caluri ha scritto:

> Visto che il consiglio tutto è stato informato
> che un vecchio rompino ha espresso delle
> perplessità al direttore di Avvenire,
> firmandosi "un vecchio del TO XXIV di Luciano
> Ferraris", e che lui, il direttore ha risposto,
> cercando di chiarire i miei dubbi, vi giro
> il tutto.
> Perchè non ho firmato come censito nel MASCI?
> Si accettano idee in proposito, a chi indovina
> verrà consegnato un biglietto per partecipare
> all'estrazione di una radice quadrata di -2
> 
> qui il tutto rispetto al testo originale
> c'è un "a prescindere"
> 
> --
>        .---.
>       (..¦..)
> -_______..¦.._______-
> (-.-<_..\.¦./.._>-_-)
> ..-_-<_..\+/._>-_-
> .......GioVanni- Caluri
> 
> Giovanni.Caluri a alice.it
> (Lupo Volante)
> ScoutTag Regina Margherita (TO) (MASCI) A.S.
> -----------8<-----------------------------------
> Avvenire, dom 27/05/2012  FORUM (l'ultima pagina)
> Due perplessità, una buona strada Il direttore risponde
> 
> 
> Caro direttore, perdonami, ma le perplessità cominciano a essere troppe. La
> prima riguarda una (ex) signora ministro che pare ami le sorti dei cani e dei
> gatti e ne intenda fare una battaglia parlamentare. Mi colpisce la passione e il
> contemporaneo assoluto disinteresse al destino di esseri umani incapaci di
> difendersi dalla volontà della donna che li porta in grembo, che di loro vuole
> sbarazzarsi. Un’altra perplessità che mi rode come un tarlo da quando in giro ci
> sono valanghe di disoccupati, cassintegrati, posti di lavoro scoperti che
> nessuno vuole coprire, è il grido a prescindere «benvenuti siano gli immigrati»
> (ancorché clandestini) perché abbiamo bisogno delle loro braccia. Ho iniziato a
> lavorare più o meno quando tu sei nato, alla metà degli anni 50, avevo quindici
> anni, reduce da una feroce 'trombatura' sui banchi del liceo. Nelle 'boite' (le
> piccole officine) di Torino c’era sempre posto per un apprendista che avesse
> voglia di imparare un lavoro. L’orario era di 48 ore la settimana, due settimane
> di ferie all’anno (e gli apprendisti avevano il permesso di uscire mezz’ora
> prima se erano iscritti a una scuola serale: è così che mi sono diplomato alle
> superiori).
> 
> Nel tempo, in vent’anni di conquiste sindacali, tra la fine degli anni 60 e i
> primi 70, si è passati a 40 ore settimanali e un mese di ferie. In questi ultimi
> 40 anni invece più nessuna modifica. Ma non esiste più il 'baracchino Fiat' che
> avvita lo stesso bullone 8 ore al giorno, alienato da quel lavoro. Oggi un bel
> robottino avvita 8 bulloni e con torsione controllata da un dinamometro, tutti
> in un colpo. A detta degli esperti, la produttività del lavoratore
> (indifferentemente operaio o impiegato) è stata moltiplicata per dieci grazie
> all’informatica e all’automazione.
> 
> Ora, non pretendo che quel 'fattore 10' sia gratuito. Certo, il robot costa (di
> contro non sciopera), lo studio per produrlo costa, la sua gestione costa. Non
> pretendo quindi di affermare che gli utili netti dei 'padroni' siano
> automaticamente moltiplicati per dieci. Ma se per produrre la quantità di
> vetture degli anni 1965-70 la Fiat aveva un organico di quasi mezzo milione di
> dipendenti e ora riesce a produrre le stesse quantità con una frazione di quel
> numero, che cosa facciamo fare al resto degli (ex) dipendenti? Non basta citare
> «le nuove professioni», non ce n’è per tutti, e soprattutto occorrono 'skill'
> (abilità acquisite) che molti non possono avere, a causa dell’età o della storia
> culturale di ciascuno, altrimenti non avremmo cassintegrati a ogni angolo di
> strada. Ecco, perdona la lunghezza della descrizione che ho fatto, la domanda
> che mi pongo, il tarlo che mi rode, ciò che non capisco: possibile che gli utili
> netti di tutte le aziende che hanno ridotto così drasticamente il personale non
> siano saliti?
> Possibile che non si possa passare a una diversa organizzazione del lavoro,
> grazie alla quale sia possibile 'lavorare meno, lavorare tutti', ma ovviamente
> lasciando i redditi dei lavoratori a un livello dignitoso. Caro fratello scout
> (eh, l’hai scritto e me lo sono segnato...) fai cosa vuoi di queste due domande,
> ma se puoi o hai tempo, rispondimi, perché mi sento proprio stranito da questo
> mondo e questo modo di ragionare. Grazie, e Buona Strada!
> Giovanni Caluri, un vecchio scout del To XXIV di Luciano Ferraris
> --------****
> Non sono uno specialista in tarli, caro Giovanni, mentre anch’io ho imparato
> qualcosa di fraternità e di giustizia.
> E ho pure appreso che un approccio 'pragmatico' alla novità tecnologica non
> comprende necessariamente una resa al disumano.
> L’ho imparato e continuo ancora, da cattolico e da scout.
> Proprio come te: strada facendo, spesso controcorrente e anche contromano, ma
> cercando di tenere sempre gli occhi bene aperti.
> È una buona lezione, basata su valori saldi (che mi scomodano e mi mettono alla
> prova e persino in crisi) e su un sano dubbio (che è amore consapevole per
> l’umanità e perplessità affilata sul mondo e le sue logiche).
> Una lezione che mi è servita e che mi serve anche nel mestiere di cronista. Nel
> quale ho capito che tutte le domande profonde e autentiche sono un inizio di
> risposta.
> Capisco bene quella più sintetica e che mi fai per prima.
> E ti dico che anch’io – pur amando francescanamente gli animali e pensando che
> ogni sano amore nulla toglie e tanto aggiunge alla nostra vita – ritengo che sia
> ben strano e triste un tempo in cui si mettono in campo energie e stentorei
> amplificatori a tutela di cuccioli d’animale e ritrosie o censure inconcepibili
> quando c’è da salvare un bambino ancora non nato.
> La tua seconda domanda sul lavoro – che trovo in bella assonanza con un
> passaggio centrale della riflessione con la quale il cardinale Bagnasco ha
> aperto i lavori dell’ultima Assemblea della Cei: consiglio di rileggerla –
> argomenta così tanto e così tanto ricorda che faccio fatica ad aggiungere
> qualcosa.
> A parte una correzione che propongo a te e che – l’ho già scritto più volte –
> vorrei fare a un modo di dire diffuso, ma che trovo profondamente ingiusto: non
> esistono «clandestini» sulla faccia della terra, nessun uomo e nessuna donna lo
> è mai. Le persone possono essere fuori da determinate regole, e dunque
> «irregolari», ma «clandestine» no.
> Qualcuno pensa che sia solo un modo di pensare buonista, e invece è molto di più
> perché è impastato della sostanza stessa dell’idea cristiana di fraternità.
> Proprio quella che genera e motiva la tua analisi e il tuo appello sul lavoro e
> per il lavoro, guardando prima di tutto alle persone. È vero: non tutti i lavori
> sono uguali, e non tutti nel lavoro sono ugualmente dediti e onesti. Ma gli
> uomini e le donne sì.
> Loro sono uguali, e a nessuno per smania di profitto e senza giustizia può
> essere negata la possibilità di realizzarsi attraverso l’«opera delle mani e
> dell’intelletto». E qui mi viene un modello (certo perfettibile) da indicare.
> Ultimamente si cita – comprensibilmente – la Germania solo per l’ossessione
> rigorista che ha imposto all’Europa. Beh, vorrei che si tornasse a parlarne di
> più per il sistema partecipativo, e largamente inclusivo, che ha messo a punto e
> applicato nel mondo dell’impresa e del lavoro. È una buona strada, e può essere
> non solo 'copiata', ma sviluppata fino a diventare ottima. Perché si basa sul
> principio che nel cammino e nell’impegno comune tutti – imprenditori, lavoratori
> e anche finanziatori – condividono secondo eque gradazioni responsabilità,
> fatiche, problemi e successi. Anche in economia, lo stiamo sperimentando, non
> c’è libertà particolare senza responsabilità e senza senso della comunità.
> Grazie a te, caro Giovanni, per le tue vigorose perplessità e per l’amicizia ad
> Avvenire e a me.
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