[Masci] l'anniversario

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Mer 14 Ott 2009 21:52:33 CEST


1009: la distruzione del Santo Sepolcro 
 
 Mille anni fa veniva scritta una delle pagine più nere dei rapporti fra
cristianesimo e islam.
  Quando per ordine del sultano al-Hakim la grande basilica costantiniana che
sorgeva sul luogo della morte e risurrezione di Gesù fu rasa al suolo.
  Venne poi ricostruita fra il 1042 e il 1048
 
 DI GIORGIO BERNARDELLI 
 In pochi lo sanno, ma in questi giorni ri­corre a Gerusalemme un millenario
molto doloroso per la comunità cristia­na della Terra Santa: 
quello della distruzio­ne della basilica costantiniana del Santo Se­polcro ad
opera del sultano fatimide al­Hakim. 
Un fatto destinato a cambiare in maniera radicale la fisionomia dei luoghi
cristiani nella Città Santa, dal momento che – anche se poi ricostruita – la
basilica non avrebbe mai più ritrovato lo splendore che ebbe nella Gerusalemme
del primo mil­lennio. Un luogo – in particolare – sarebbe andato perduto per
sempre: il Martyrium, 
 cioè la grande chiesa in cui si faceva me­moria della Passione di Gesù.
  A ricostruire la data esatta dell’anniversa­rio è stato – sull’ultimo numero
della rivi­sta 
  Terrasanta – l’archeologo francescano padre Eugenio Alliata. 
Le cronache dell’e­poca raccontano, infatti, che la distruzione cominciò «il
martedì il quinto giorno prima della fine del mese di Safar nell’anno 400
dell’Egira». 
Annota padre Alliata: «L’anno dell’Egira 400 inizia il 25 agosto 1009 ed
es­sendo Safar il secondo mese dell’anno lu­nare islamico bisogna aggiungere 54
gior­ni per arrivare a martedì 18 ottobre, secon­do il calendario gregoriano
(giorno ovvia­mente estrapolato, trattandosi di una data anteriore
all’istituzione ufficiale del mede­simo)». 
Quella che il 18 ottobre 1009 si consumò a Gerusalemme fu una distruzione
radicale: 
lo stesso Santo Sepolcro – racconta sempre il cronista dell’XI secolo – 
«fu scavato e sra­dicato nella maggior parte». 
Ma come mai mille anni fa (e quasi quattro secoli dopo la conquista araba di
Gerusalemme), si arrivò a uno scempio del genere? La risposta sta nella figura
del sultano al-Hakim, che re­gnò al Cairo dal 1000 al 1021. 
Fu lui a im­porre una svolta nella politica dei fatimidi, dinastia appartenente
alla corrente ismai­lita degli sciiti, che fino a quel momento a­veva mostrato
tolleranza nei confronti sia dei sunniti sia delle altre minoranze reli­giose. 
Al-Hakim, al contrario, tentò con o­gni mezzo di imporre la propria fede. 
E ad essere più duramente colpiti furono so­prattutto cristiani ed ebrei: 
il sultano, ad e­sempio, portò all’esasperazione la legisla­zione sui dhimmi. 
Ma fu proprio la distru­zione del Santo Sepolcro il culmine della sua
intolleranza religiosa. 
Un fatto la cui e­co rimbalzò molto presto in Europa, dive­nendo una delle
ragioni addotte per la con­vocazione della prima Crociata.
  Quella del 1009 fu, dunque, una pagina ne­rissima nei rapporti tra islam e
cristianesi­mo. 
Da ricordare, però, tenendo presente che lungo i secoli ce ne sono state anche
altre di segno opposto. 
Proprio la basilica del Santo Sepolcro era stata testimone del gesto compiuto
dal califfo Omar, quando nel 638, al momento della conquista araba di
Gerusalemme, scelse di non entrare a pregare in questo luogo santo, in segno di
rispetto verso i cristiani (un fatto questo molto importante, dal momento che se
non si fosse comportato così la «madre di tutte le chiese» sarebbe stata
trasformata in mo­schea, come tanti altri luoghi di culto cri­stiani in
Oriente). 
Va inoltre aggiunto che – anche dopo lo scempio ordinato da al-Hakim – sotto il
re­gno del suo successore al-Zahim fu co­munque raggiunto un accordo tra il
sulta­no e l’imperatore bizantino Argyropulos in forza del quale già nel 1042
poté iniziare la ricostruzione del Santo Sepolcro. 
Dettaglio interessante: 
l’intesa di dieci secoli fa pre­vedeva qualcosa di molto simile a quello che
oggi chiameremmo il principio della reciprocità. 
L’imperatore, infatti, concede­va contestualmente il permesso di edifica­re una
moschea a Costantinopoli.
  I lavori di ricostruzione – terminati nel 1048 – si concentrarono solo sulla
parte più ve­nerata del complesso costantiniano: la ro­tonda al cui centro era
posto il Santo Se­polcro. 
Nell’edificio antico, consacrato nel­l’anno 336, esistevano però anche altri due
e­lementi distinti. 
Entran­do dal cardo maximo, la strada principale della Gerusalemme romana e
bizantina, per prima co­sa si accedeva al Mar­tiryum, la grande chiesa a cinque
navate. 
Dal fondo di questo edificio sacro si entrava poi in un giardino, circondato da
un triportico, dove nell’angolo di sud-est e­ra venerata all’aperto la roccia
del Calva­rio, dove Gesù fu crocifisso. 
Oltre il giardi­no, infine, si apriva l’anastasis, la rotonda con al centro il
Santo Sepolcro. 
Per dare un’idea della grandiosità dell’intero com­plesso basti citare il fatto
che insieme que­ste tre parti sviluppavano un asse di circa 150 metri 
(tanto per dare un termine di pa­ragone la basilica di San Pietro è lunga 186
metri, dunque non molto di più).
  La scelta di concentrarsi sulla rotonda del Santo Sepolcro fu confermata dai
crociati: 
quando nel 1099 nacque il regno latino di Gerusalemme si affermò subito l’idea
di ri­portare la basilica all’antico splendore. 
Ma la struttura rimase comunque più piccola rispetto a quella costantiniana: 
si decise di allargare l’anastasis, andando però a ri­comprendere all’interno
della chiesa solo la roccia del Calvario, che prima si trovava – invece – nel
giardino. 
Questo spiega la fi­sionomia attuale della basilica, consacrata nel 1149 e poi
rimasta sostanzialmente in­violata anche dopo la sconfitta dei crocia­ti a
Gerusalemme. 
Il Martyrium, dunque, è il luogo santo che non c’è più. 
Luogo fonda­mentale della Gerusa­lemme bizantina, una comunità di cui oggi in
realtà si ricorda pochis­simo. 
Invece era proprio qui che – tra il IV e l’ini­zio dell’XI secolo – ogni
domenica si riunivano i cristiani per celebrare l’Eucaristia. 
In una chie­sa anch’essa ricca di simbolismi: 
Eusebio, nella sua Vita di Costantino, racconta che l’elemento principale
dell’intera opera era «un emisfero collocato sulla parte più alta della
basilica, cui facevano corona dodici colonne pari al numero degli Apostoli del
Salvatore e ornate in cima con enormi cra­teri d’argento che l’imperatore aveva
offer­to personalmente quale bellissimo dono votivo al suo Dio». 
Era la morte gloriosa di Gesù che nella Gerusalemme bizantina la Chiesa qui
celebrava. 
Fermando lo sguar­do sulla sua Passione prima di correre al se­polcro vuoto
della Resurrezione. 
Forse è proprio questa l’idea più importante che un millenario così nascosto ci
può aiutare a ritrovare. 
 Andò perduto per sempre il «Martyrium», dove ogni domenica si riunivano i
cristiani per celebrare l’Eucaristia

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